L’immagine dell’altro
Mi accingo a trattare un argomento che mi sta molto a cuore e su cui ho studiato e riflettuto sia nel mio lavoro di insegnante che nei rapporti con le altre persone: il pregiudizio, i luoghi comuni e gli stereotipi. Sono convinta che nessuno di noi possa pensare di esserne esente. Se facciamo una considerazione sincera e consapevole, sappiamo che il pregiudizio tenta sempre di insinuarsi nelle nostre opinioni e influenzarle in ogni periodo della vita e in ogni campo della nostra esperienza. Dobbiamo quindi riconoscerlo perché in realtà tutti noi abbiamo dei pregiudizi e la loro decostruzione è una contesa che dura quanto l’arco della nostra vita.
Ho scelto di trattare dei pregiudizi nel campo dell’arte perché è il mio campo e tutto quello che la riguarda mi appassiona.
Il pregiudizio e l’artista
Comincio con alcuni luoghi comuni sugli artisti tratti da Wikipedia /blog:
Gli artisti sono nullafacenti, sognatori, scollegati dalla realtà, presuntuosi, narcisi, anticonformisti a tutti i costi,… stravaganti, bevuti, fumati e tormentati.
L’artista affascina per i primi 5 minuti, viene lodato per i successivi 10 e poi viene guardato con sospetto per il resto della sua vita.
E alcune definizioni :
PREGIUDIZIO dal latino“prae” = prima e “judicium” = giudizio. Giudizio basato su opinioni precostituite e su stati d’animo irrazionali anziché sull’esperienza e sulla conoscenza diretta, quindi giudizio aprioristico, opinione erronea, e comunque priva di fondamento.
PRECONCETTO, suo sinonimo, significa concepito prima della conoscenza ed esperienza diretta, sulla base di luoghi comuni e stereotipi
Sinonimi di pregiudizio: preclusione, prevenzione, tabù, errore, superstizione, credenza errata, fantasia, fisima…
STEREOTIPO dal greco stereos = duro, solido, e tipos = impronta, immagine, è’ la visione semplificata e largamente condivisa su un luogo, un oggetto, un gruppo o un avvenimento. E’ un concetto schematico, rigido e immutabile, su etnia, nazionalità, sessualità, religione, politica, professione e status sociale. Può diventare una caricatura di alcune caratteristiche di un gruppo, esagerate al punto, da diventare detestabili e ridicole.
* All’interno delle Scienze Sociali il termine “stereotipo” fu promosso nel 1920 circa, dal giornalista e saggista americano, Walter Lippman, nei suoi studi sul pregiudizio.
LUOGO COMUNE, dal greco tòpos, punto di vista generalmente accettato per identificare e rappresentare la realtà. Si afferma un’opinione condivisa in cui non si comunica nulla, ma si è certi di attirare la simpatia.
Usato nella pubblicità e nella propaganda politica, può fomentare verso gruppi, ceti sociali, popoli, sospetto, ostilità fino ad arrivare al razzismo, facendo diventare un’ opinione, non cosa dimostrabile, ma oggetto di fede.
da G. Flaubert-Dictionnaire des ideé reçue
da L’arte di ottenere ragione” di A. Schopenhauer-adelphi
St.di T.van Dijk, pregiudizio etnico con prospettiva originale su élite=potere
Al contrario
LA SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO, dal greco epoché = sospensione, è l’opposto del pregiudizio. Dove esso trae conclusioni, essa impone di astenersi fino al raggiungimento della necessaria quantità d’informazione. Teorizzata dai filosofi platonici e scettici attivi in Grecia tra il I°e il II° sec.d.C. è il principio metodologico su cui si basa il metodo scientifico. Nel ‘600 Cartesio (cogito ergo sum) nel suo procedimento “dubbio metodico” afferma che in ordine alla costituzione di una conoscenza certa e salda è necessario dubitare di qualunque cosa, non dare nulla per scontato.
Se Via col vento lo avesse scritto Tolstoj
Come esempio di luogo comune o pregiudizio nel campo della letteratura vi racconto una provocazione tratta dall’articolo “Cosa resta dell’autore” di Fabio Gambo ( Repubblica 2010)
Se ”Via col vento” lo avesse scritto Tolstoj? Lo leggeremmo nello stesso modo o no? Pierre Bayard nel saggio “ E si les oeuvres changeant d’auteurs?” ci pone una paradossale domanda che riguarda il campo della letteratura e la nozione di autore come mito e un tabù: ci vuol far riflettere sul fatto che siamo influenzati a priori dal nome e dal sesso dell’autore, e che se potessimo immaginare autori diversi eserciteremmo una funzione più creativa come lettori.
“… un’opera è un universo immaginario, ma è soprattutto una voce ( senza autore non c’è più voce ) e uno stile…
Sottolinea che “ l’universo della finzione è distinto da quello della realtà”. Questa affermazione è fondamentale perché troppo spesso si dimentica che “ l’autore deve poter esercitare la massima libertà di pensiero…”
Oggi si tende a perdere il senso della finzione, vale a dire la coscienza che in un’opera creativa l’autore è legato al suo tempo, ma anche quando tratta della cosiddetta realtà, va oltre l’apparenza delle cose…
“ Se non si riconoscono più i diritti della finzione, per esempio oggi, il Nabokov di Lolita, rischierebbe di essere condannato per pedofilia.
Pensare che, se in un libro c’è un personaggio ostile ad Allah, allora anche l’autore è necessariamente ostile ad Allah, è una visione fondamentalista che non distingue l’autore dalla sua opera. (Vedi Salman Rusdje)
In altre parole Il venir meno della necessaria distinzione tra l’autore e la sua opera rappresenta una vera e propria minaccia per il ruolo creativo dell’autore.
Queste osservazioni possono essere estese a tutti i campi in cui l’arte opera: poetica, figurativa, drammaturgica, architettonica e così via.
Creatività e malattia mentale
Uno dei pregiudizi più diffusi e persistenti è la correlazione fra genio e stranezza e addirittura malattia mentale, si ripresenta ciclicamente nel tempo .
Anche la psicoanalisi ha contribuito a avallare questo luogo comune:
a cominciare da Freud, padre della psicoanalisi, che scorge una grande somiglianza tra nevrosi e creatività: entrambe originate da conflitti che derivano da pulsioni biologiche e che vengono risolte attraverso la sublimazione, ovvero l’individuo creativo, sarebbe un frustrato che, non trovando appagamento nell’atto sessuale, cerca di trovarlo nell’atto creativo (già contraddetto dalla biografia di molti creativi con ricca vita sessuale).
La teoria di Freud, è ormai difficile da accettare, perché s’interessa solo delle motivazioni e non dell’essenza particolare della creatività, comunque la sessualità come primaria pulsione fu presto superata.
Anche Jung ha dato un importante contributo allo studio dell’arte, mettendo al posto del processo primario di Freud gli archetipi dell’inconscio collettivo: la grande opera d’arte trascende le esperienze di vita, i fattori personali e il periodo storico nel quale il suo artefice si trova a vivere.
Nonostante il suo carattere suggestivo, anche questa teoria non riesce a spiegare una caratteristica distintiva dell’opera d’arte, la sua novità imprevedibile, e la riduce a riattivazione dell’archetipo – un nucleo invariabile di significato –.
Comunque ai vari autori che trattarono dell’arte, rimase e rimane sempre difficile da definire, tra le altre motivazioni dell’atto creativo, la qualità intensa e attiva dell‘immaginazione!
Il nostro psichiatra Cesare Lombroso scrisse in un saggio tradotto in inglese nel 1864 con successo mondiale,“Genio e pazzia”, le sue conclusioni sulle precedenti ricerche di Morel, Moreau e Jacobi.
Nel successivo L’uomo di genio, cercò di provare con una esposizione più completa, che molti geni avevano malattie neurologiche, psicosi conclamate o epilessia da Giulio Cesare, Petrarca, Moliére, Maometto, Napoleone, Haendel, Dostoevsky …
Affermò che la malattia mentale era frequente anche tra i grandi musicisti: Mozart, Beethoven, Donizetti, Pergolesi, Hoffmann e Gluck ebbero attacchi di “pazzia” (nella categoria includeva le sindromi deliranti e allucinatorie, le depressioni e gli stati maniacali).
Ma l’evidente limite di questi sstudi è quello di non aver mai chiarito scientificamente se gli artisti fossero affetti da stranezze di temperamento o da vere psicosi, e di essersi occupato soltanto delle loro qualità negative, e mai di quelle positive e dei processi che trasformano la psicopatologia in attività creativa.
La popolarità delle opere di Lombroso si spense in breve tempo presso i suoi stessi allievi, per la mancanza di basi scientifiche, per l’assenza di definizioni chiare di genio e di pazzia e per l’incapacità di provare la veridicità delle sue tesi. I suoi contributi conservano comunque un’importanza storica.
Molti autori, tra cui A.C.Jacobson, continuarono il suo lavoro, ma rovesciandone le conclusioni: – I loro (degli artisti) tratti patologici ostacolano la loro creatività, per cui essi producono le loro opere migliori nei periodi più sani della loro vita. (vedi Van Gogh)
Haveloch Ellis nel suo studio sui Geni Inglesi, scrisse che Nell’associazione tra genio e pazzia… di fronte al fatto che il suo verificarsi è dimostrato sotto al 5 per cento dei casi, ci impone di porre al bando ogni teoria che sostenga essere il genio una forma di pazzia.
Altri autori, invece come l’americano G.Pickering in “Creative maladie,”si accanirono nel mettere in evidenza gli aspetti patologici eccentrici e nevrotici di personaggi creativi come Marcel Proust, Charles Darwin, Sigmund Freud, Mary Baker Eddy e altri ancora.
Però al di là di dettagliate informazioni sulle loro malattie e sugli aspetti minori delle loro vite, questi scritti non risultano affatto utili per chiarire il processo creativo di questi grandi uomini.
Questo orientamento volto in generale a patologizzare l’oggetto” della ricerca, è ben definito dall’illuminato psichiatra Eugenio Borgna nel noto saggio Come se finisse il mondo – Feltrinelli:
….“La psichiatria non vede l’uomo, ma la malattia, i cui sintomi studiare con fredda neutralità, lasciando oscuri quei nodi di significato che si addensano nei sintomi. In questo modo la psichiatria non comprende l’uomo, ma lo spiega, riducendolo secondo il proprio sistema di riferimento....”
Ovvero, come dice Kafka nel Messaggio dell’imperatore – Scrivere ricette è facile, ma intendersi con la gente è difficile.
Ma perché sono così diffusi sia il pregiudizio, il luogo comune e lo stereotipo?
E’ Il bisogno di sicurezza che porta l’uomo a superare l’incertezza abbracciando l’opinione più corrente, pur di ricevere una guida, e accettando una tesi purchèssia, per non doverla più modificare?
Sicuramente è questo atteggiamento che porta al rigido dogmatismo.
Invece la conoscenza richiede la messa in dubbio delle opinioni correnti e la capacità restare per un certo periodo, anche lungo, nell’incertezza.
E’ evidente che la pratica del dubbio è faticosa, difficile e certo è più tranquillizzante la pratica del dogmatismo.
Vittime di pregiudizio nel Medioevo
I Goliardi, libertini dell’11° secolo, erano studenti poveri, girovaghi, ai margini delle Accademie, che seguivano di città in città i maestri che li entusiasmavano, e si scagliano contro l’ordine costituito con la loro poesia “Carmina burana”, spesso caustica e volutamente volgare.
Condannati dal Clero e dai potenti, venivano insultati come vagabondi, zingari, guitti e buffoni (spesso lo facevano per vivere) cioè con gli epiteti con cui venivano bollati i soggetti considerati pericolosi e che si volevano tagliare fuori dalla società: i teatranti.
L’atteggiamento della chiesa nei confronti del teatro nel Medioevo fu paradossale, perché lo condannò, proibendo ai chierici di avere contatti con istrioni, giocolieri, giullari e teatranti, considerate prostitute, ma usò il bisogno di teatralità della popolazione, facendo della chiesa stessa il primo luogo scenico del teatro medievale con la drammatizzazione dei passi del vangelo, l’antifona cantata da religiosi. Poi per l’affluenza del pubblico, si passò al sagrato antistante la chiesa, in seguito alla piazza e poi nel ‘600, alle vie delle città.
La chiesa condannava in particolare l’uso del corpo contro natura e quindi contro dio dei saltimbanchi, saltatori e ballerini, acrobati e s’inasprì ancor più dopo la nascita dell’Associazione dei giullari costituita a Parigi nel ‘302. La sepoltura dei teatranti fuori del cimitero era l’ultimo atto della condanna e dell’esclusione di queste persone dalla società.
Col perfezionarsi dei palchi e delle macchine sceniche si esibì un teatro più laico e professionale.
Il giullare è un attore professionista, che si distingue dal buffone, perché non è solo un ripetitore di testi altrui, ma é un versificatore, più colto. Entrambi erano generalmente nomadi (o presso un signore) e lavoravano nelle strade di pellegrinaggio per Roma, Gerusalemme, Santiago di Compostela, facendo spettacoli, intrattenendo e scambiando notizie coi pellegrini.
Da Le Goff “Il genio nel Medioevo”.
Da Luigi Allegri – “Teatro e spettacolo nel Medioevo” Laterza Roma
Da Giovanni Antonucci – “Storia del teatro italiano “- Newton Compton Roma
La rivelazione del genio
Enrico Castelnuovo nella prefazione a La leggenda dell’artista di ERNST KRIS E OTTO KURZdi Bollati Boringhieri scrive:
“In un modo o nell’altro l’opinione comune tende a riconoscere negli artisti degli esseri straordinari….un tale termine non ha necessariamente un valore positivo. Porta con sé piuttosto un senso di alterità, preannuncia la diversità che ci si attende da chi artista viene chiamato, diversità nel comportamento, come nelle abitudini e nel temperamento.
….Ma naturalmente la vicenda dell’artista non prende le mosse dal bohemién della fine 700…
Sono i biografi, da Plinio il vecchio a Giorgio Vasari, dal Villani al Ghiberti che ne hanno tracciato per così dire i ritratti,”ed è sorprendente notare che” queste biografie contengono episodi … aneddoti ricorrenti e leggendari, che venivano attribuiti all’uno o all’altro degli artisti, a distanza di secoli o in luoghi lontanissimi tra loro…..così come è interessante la frontiera mobile , ma sempre ambigua e sfumata tra arte e magia ”.
Nelle biografie degli artisti, nonostante le modificazioni nel tempo, sussistono preconcetti ricorrenti, che si collegano alla sua opera e alla sua persona, dei cliché stereotipati, che influenzano tuttora il nostro modo di giudicare un artista.
Uno di questi leitmotiv ricorrenti riguarda le circostanze in cui avviene la rivelazione delle doti dell’artista (il pastorello Giotto scoperto casualmente da Cimabue e indirizzato a un tirocinio ) questo racconto ha numerose varianti e risale alla famosa competizione tra Zeusi e Parrasio, e come simili episodi stereotipati, fa parte degli “aneddoti d’artista” .
L’aneddoto popolare è strettamente connesso al passato leggendario, al mito, nel quale ebbe origine l’immagine dell’artista. Ritorna nella fiaba dell’Orso di bronzo di Andersen, nella quale si racconta di un monello fiorentino che è scoperto mentre ritrae con maestria un cagnolino in casa del patrigno dove vive in misere condizioni.
Divino artista
L’artista era quindi predestinato, a raggiungere la futura gloria, conseguenza del suo genio.
Tra i tanti racconti della Grecia classica ne scelgo alcuni:
Il divino pittore Apelle insulta terribilmente Alessandro per le stupide osservazioni sull’arte e il re gli cede la sua amante Campaspe ( sic!)
Demetrio risparmia la città di Rodi stretta d’assedio per non mettere in pericolo la vita del pittore Protogene.
Di Protogene si narrava un curioso aneddoto: dopo aver invano cercato di riprodurre la bava alla bocca di un cane, gettò deluso la spugna proprio su quel punto e ottenne così l’effetto desiderato.
Plotino già nella tarda classicità affermò la superiorità della trasfigurazione fantastica e della visione interiore rispetto alla riproduzione della realtà. “Fidia,” scrive Plotino,” non ha creato il suo Zeus secondo una realtà visibile, bensì come il dio stesso apparirebbe se volesse manifestarsi ai nostri occhi.” Questa frase rivede radicalmente il giudizio sull’artista, spregiato rispetto ai poeti perché lavora manualmente.
A proposito di immaginazione
Goethe scrisse che “Il potere creativo della mente si sveglia vivace mentre forma il finito dall’indefinito”.
In questo senso Leonardo, nei suoi taccuini, raccomandava all’artista di interpretare le macchie di umidità sui muri al fine di esercitare la fantasia e tenerla viva.
Piero di Cosimo narra Vasari – fermavasi talora a considerare un muro, dove lungamente fusse stato sputato da persone malate e ne cavava le battaglie de’ cavagli e le più fantastiche città e più gran paesi che si vedesse. Simil faceva de’ nuvoli dell’aria.
Così nell’undicesimo secolo il pittore cinese Sun-Ti, consigliava a Ch’en Yung-chich di ispirarsi per un paesaggio alle linee di un muro diroccato “ perché così puoi lasciare che il pennello segua il gioco della fantasia e il risultato sarà divino, non umano”.
“Guarda caro sembra vero” Artista mago
La valutazione dell’eccellenza dell’artista per lungo tempo sembra dipendere dal confronto tra la sua opera e la natura.
Ne è il paradigma l’aneddoto di Zeusi che per dipingere il ritratto di Elena sceglie e armonizza i lineamenti più belli di cinque fanciulle.
Questo e mille altri aneddoti, il cui punto centrale è la confusione tra realtà e illusione, si ripetono dal medioevo ben oltre al rinascimento, ha origine nella leggendaria disputa tra due pittori: mentre Zeusi sta mostrando a Parradio un suo dipinto che ha per soggetto un grappolo d’uva, alcuni passeri volano intorno e cercano di beccarlo. Parrasio subito porta Zeusi nella propria bottega e lo invita a scostare la tenda che copre il quadro. Ma la tenda è solo dipinta e Zeusi esclama: “ Io ho ingannato dei passeri, ma tu hai ingannato me!”
Vasari racconta ancora che Giotto, apprendista presso Cimabue, aveva dipinto un insetto su un quadro e Cimabue, prima di accorgersi dello sbaglio, aveva fatto il gesto di allontanarlo.
E ancora: Filippo II di Spagna si lascia ingannare dal ritratto eseguito da Tiziano e un cardinale porge penna e inchiostro al dipinto di Raffaello che ritrae papa Leone X.
Questi aneddoti sono tutti legati alla perfetta riproduzione mimetica della realtà e quindi all’eccezionale abilità tecnica dell’artista. Ma in questa visione subentra la credenza magica che nell’immagine di un uomo risieda la sua anima. Le osservazioni più frequenti sulle opere, in particolare i ritratti, sono che sembrano animate, sembrano proprio vive, tocca un altro aspetto,cioè la credenza diffusa che esista un’ identità fisica tra effige e persona, in particolare, quando è coinvolta l’affettività.
La leggenda del re di Cnido, Pigmalione, che scolpisce e crea egli stesso il proprio oggetto d’amore, che poi si incarnerà per lui, è esemplare.
Altra leggenda e quella di una seducente statua che infiamma d’amore un uomo e viene mutilata perché non succeda ad altri, l’uomo innamorato e coloro che la mutilano, la credono viva.
Infine quando l’effige del dittatore viene abbattuta, per il rivoluzionario, funge in tutto e per tutto da suo sostituto.
L’eccezionalità dell’artista è la sua bravura mimetica della realtà, per di più, possiede dentro di sé una figura interiore completa delle forme, quindi da un frammento riesce a ricostruire la sua figura intera: si narra che Fidia a cui mostrarono la zampa di un leone ne ricostruì l’intera forma e Durer da un braccio ricostruì con perfette proporzioni l’intera figura di un crocefisso.
Un’altra dote è la rapidità estrema: Tintoretto poteva: “eseguire un dipinto in minor tempo di quanto ne occorresse a un altro per macinare i colori”dice Vasari e Hokusai disegnò in pochi minuti un gallo davanti a un impaziente committente, a cui mostrò poi una stanza con tantissimi schizzi. Morale : l’opera tracciata in pochi attimi era il frutto di un estenuante lavoro di anni.
Lo stesso aneddoto è stato attribuito a Picasso.
La distanza tra artista e persone comuni, le burle dei pittori verso i critici maldisposti, la necessità di isolamento creativo, l’indissolubile comunanza tra l’artista e le sue opere, sono arrivate nella tradizione, dalla classicità ai giorni nostri, fino a considerare l’opera d’arte un figlio e quindi a collocare il processo creativo secondo il modello della vita sessuale.
Non sublimazione quindi, ma energia psichica.
Solo dal Rinascimento in poi si attribuì ai pittori e agli scultori l’esperienza di una vera estasi per cui l’artista fu onorato come un essere divino, assimilandolo al dio creatore, eroicizzando così la creazione artistica.
Si faceva strada la figura dell’artista che crea la propria opera spinto da un impulso irreprimibile, da un’ispirazione in un misto di furore e di follia, simile all’ebbrezza. Fino ad arrivare in epoca romantica, allo scontato stereotipo dove dissolutezza e libertà sessuale divennero sinonimi di artista, e della corrispondenza tra arte e vita.
Comunque la vita interiore dell’artista e la sua opera, creatore e creazione sono vincolate strettamente come ci dicono Kris e Kurz :
Chi segue una vocazione è, almeno fino a un certo punto, prigioniero di questo fato o destino tipico. Una circostanza questa, che non è in nessun modo in rapporto privilegiato, e tantomeno esclusivo col pensiero cosciente, ma che al contrario investe direttamente la dimensione dell’inconscio.
Anna Maria Borgna 2013